
Come ama dire un mio caro amico, “Dio non esiste, ma ogni tanto fa qualcosa di
buono”. Nel nostro caso c’ha fatto nascere in un’epoca dove filosofie di
pensiero come l’illuminismo, il positivismo, lo scientismo, il relativismo e la
laicità sono dottrine largamente condivise da tutto il nostro mondo. Sembra
poco, ma non lo è affatto. Noi siamo figli di questi pensieri (con tutte le
loro luci ed ombre), che lo vogliamo o no. Non ci sarebbero le repubbliche, le
democrazie, le rivoluzioni, l’ateismo e il primato dell’uomo e della scienza
sulla fede senza questi pensieri.
Da un paio di mesi a questa parte si è riaperto
il dibattito sull’aborto. Un dibattito vecchio, conservatore, antistorico e
pericoloso, per giunta portato avanti da ultra-sessantenni che non hanno più
problemi a riguardo e che ignorano l’humus giovanile di questi primi anni del
2000, ma che semplicemente si rifanno a dogmi catto-conservatori di cui non
carpiscono il loro essere oramai obsoleti. Pochi giorni fa si è assistito
addirittura alla nascita di un partito, per le imminenti votazioni d’aprile,
con un unico punto nel suo programma: il “no” all’aborto (e Berlusconi già gli
strizza l’occhio), mentre il clima anti-abortista sfocia in incredibili cacce alle streghe. Noto, con molta amarezza, che tantissime persone durante dei
contraddittori con degli anti-abortisti non sanno o non riescono ad argomentare
le loro tesi pro-abortiste, rimanendo perplesse su come sia stato possibile che
pensieri così controversi siano riusciti a divenire legge nei lontanissimi anni
’70, arrivando talvolta a rivedere le loro tesi giudicate aberranti dai loro
antagonisti. È per persone come loro che scrivo questo post, sperando che
questa deriva cattolica, bigotta e ignorante si argini.
Viviamo in epoche liberiste, dove la libertà
dell’individuo è anteposta alle esigenze dello Stato: il singolo, nella sua
autodeterminazione, può e deve agire come meglio crede, sempre nel rispetto del
prossimo. Da ciò si evince facilmente, che io-uomo non sono tenuto a fare
niente che io non voglia; non esiste coercizione, prepotenza o imposizione che
io debba subire da parte di autorità che riguardi la mia persona fisica, in
quanto per essa sono io e soltanto io il sommo giudice delle sue azioni. Io ora
dico queste cose con la tranquillità di un uomo del XXII secolo, ma idee come
queste sono il frutto di secoli di lotte, di abiure, di persecuzioni, secoli di
giurisprudenza, secoli di diritti negati e di pubblici roghi. Inizia da Socrate
ed arriva ad Einstein passando per Lutero, Kant, Fichte e tantissimi altri
pensatori. La portata di queste conquiste ha un valore immenso e noi dobbiamo
agire affinché tali diritti vengano mantenuti. Viviamo in un’epoca dove io
posso e devo rifiutarmi di prendere anche una sola aspirina qualora non la desiderassi,
posso persino andarmene con le mie gambe da un ospedale dopo che mi è stato
diagnosticato un infarto in corso se lo volessi, figuriamoci se posso
rifiutarmi di dare alla luce un figlio. Ciò è sacrosanto. Il tutto è detto in
un quadro dove il nostro parere morale sull’aborto è completamente assente. Il
problema e la domanda da porci non è se siamo contro o a favore dell’aborto,
perché non ci è richiesto questo. Ognuno nel profondo della propria coscienza
può interrogarsi su questo dubbio, dando -indifferentemente- risposta affermativa
o negativa al quesito, senza che ci sia implicazione sulla legittimità della
pratica abortista e della legge annessa. Il principio su cui dobbiamo
interrogarci, invece, è: è libera, la
donna, di scegliere cosa sia meglio per lei? Possiamo noi, esterni e perciò
estranei, giudicare cosa sia meglio per un altro individuo? È libera la donna,
attraverso i mezzi scientifici messi a disposizione della collettività, di
porre rimedio ad un qualsiasi suo personale errore? Le risposte, la Storia,
ce le ha già consegnate e sappiamo tutti quale esse sono, e su questa strada
dobbiamo continuare a camminare.
Emanuele